Woody Allen a ruota libera a Cannes: «Odio i miei film, li rifarei uno ad uno»

Woody Allen a ruota libera a Cannes: «Odio i miei film, li rifarei uno ad uno»
di Gloria Satta
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Sabato 16 Maggio 2015, 06:19 - Ultimo aggiornamento: 23 Maggio, 11:03

CANNES - Un fiume in piena. Un concentrato di energia, pessimismo, ovviamente umorismo. Con quella sua faccia triste che scatena le risate anche (soprattutto?) quando parla di argomenti serissimi, anzi funerei. La vita? «Non ha alcun senso, tutto è affidato al caso e le brutture ci circondano». Il cinema? «Mi permette di non pensare al corpo che si disfa, ai capelli che cadono e alla morte che mi aspetta in agguato». Internet? «Non ho il computer e non so cosa sia la tecnologia».

A Cannes per presentare fuori concorso Irrational Man, il suo nuovo film (è il 46mo!) interpretato da Joaquin Phoenix, Emma Stone e Parker Posey, Woody Allen si apre come non aveva mai fatto. A dicembre avrà 80 anni ed è in perfetta salute. Il lavoro non gli manca, dirigerà infatti una serie tv in sei puntate per Amazon. Sulla Croisette è sbarcato con la moglie Soon Yi che lo aspetta in albergo, mentre le figlie sono rimaste a New York. E il popolo del Festival lo accoglie con un'ovazione.

È l'undicesima volta che viene a Cannes e come sempre ha scelto di essere fuori concorso: perché?

«Mai mandato un mio film in competizione. Chi ha il diritto di dire se un'opera è meglio di un'altra? Si fa cinema per varie ragioni: per soldi, o per esprimersi. Io lo faccio perché adoro il mio lavoro. Ma non rivedo i miei film. Mai».

Cosa voleva dire con “Irrational Man”?

«Che nella vita di ognuno c'è un momento in cui prevalgono le scelte irrazionali.

E può succedere tutto, se lo decidi».

E cosa c'è, secondo lei, alla base delle scelte irrazionali?

«Il bisogno di trovare un senso alla vita. Molti si gettano sulla religione, sperando di trovare delle risposte positive alle grandi domande dell'esistenza. Ma non esistono.Checché ne dicano preti, psicoanalisti e filosofi, la realtà è molto triste».

Ne è proprio sicuro?

«Sì. Un giorno ci ritroveremo tutti nella stessa posizione scomoda, nella tomba. Il sole esploderà e la terrà verrà disintegrata. Spariranno i capolavori di Shakespeare e di Beethoven. Difficile aspettarsi qualcosa di buono».

A che servono allora gli artisti come lei?

«Hanno il compito, importantissimo, di distrarre l'umanità dal tragico destino che l'aspetta. A me basta vedere un film con Fred Astaire o una partita di football per dimenticare tutto per due ore. Poi esco dal cinema o dallo stadio e mi ritrovo a tu per tu con la realtà, pesantissima da sopportare».

Come il protagonista del suo film, ha mai avuto voglia di uccidere qualcuno? E quando?

«Stamattina, quando la sveglia ha suonato. Ero arrivato la sera prima da New York e, per colpa del jet lag, avevo dormito solo tre ore. Mi è salita la collera per il mondo intero...».

Qual è il segreto per girare un buon film all'anno, come fa lei?

«Innanzitutto scegliere dei grandi attori che hanno dato ottime prove già prima di incontrare me. E una volta sul set, non bisogna disturbarli ma lasciarli liberi di esprimere il loro talento. Poi, se il film è venuto bene, tutto il mondo s'inchinerà al regista. Ma il merito è degli interpreti».

Ha scritto “Irrational Man” pensando a Joaquin Phoenix?

«No, l'ho scelto dopo aver finito la sceneggiatura. Mi domandavo come avrei lavorato con lui: si è rivelato una persona deliziosa e uno straordinario attore, non del tutto consapevole del proprio talento».

Ed Emma Stone?

«Ho pensato a lei fin dal primo momento. L'avevo già diretta in Magic in the Moonlight ed è perfetta. Bella, buffa, bravissima: funziona sia nella commedia sia nel dramma».

È rimasto in contatto con Cate Blanchett, che ha vinto l'Oscar grazie al suo film “Blue Jasmine”?

«No, finite le riprese non l'ho più sentita. Capita con tutti gli attori, del resto. Sul set si dividono emozioni ed esperienze. Poi, finite le riprese, ognuno va per la sua strada. È un po' triste».

Invecchiando ha sempre più voglia di girare film che affrontano temi seri, piuttosto che commedie?

«No. Ho sempre voluto essere un regista drammatico come Ingmar Bergman. Poi ho deciso di far ridere un po' perché avevo il dono dell'umorismo, un po' perché mi pagavano bene. Anche da giovane ero un tipo serissimo e noiosissimo. Fosse stato per me, non avrei diretto nemmeno una commedia».

È contento di dirigere ora una serie tv, il genere che va per la maggiore?

«No. Non avrei mai dovuto firmare il contratto, è stato un errore catastrofico. Si aspettano da me sei episodi da 30 minuti ciascuno, ma mi sto rendendo conto che il compito è tremendamente difficile. Spero di non deludere Amazon. E mi auguro che la serie non si riveli una vergogna cosmica».

Tra i suoi film, ce n'è uno che preferisce?

«No, li odio tutti. E se potessi li rifarei uno ad uno».