Italicum, Pd sostituisce 10 membri della minoranza dem in commissione

Italicum, Pd sostituisce 10 membri della minoranza dem in commissione
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Lunedì 20 Aprile 2015, 11:28 - Ultimo aggiornamento: 21 Aprile, 09:40

L'ufficio di Presidenza del gruppo Pd ha deciso di sostituire i dieci membri della minoranza Dem presenti in commissione Affari Costituzionali. Si tratta, sottolineano fonti Pd, di una sostituzione 'ad hoc' e non definitiva, valida quindi solo per l'esame dell'Italicum e in linea con quanto deciso nell'assemblea dei deputati Pd.

L'ufficio di presidenza del gruppo Dem alla Camera, viene spiegato al termine della riunione, non ha invece esaminato la questione relativa alle dimissioni del capogruppo Pd Roberto Speranza nè ha deciso di convocare l'assemblea dei deputati che affronti la sua eventuale sostituzione.

Nel corso della riunione, gli esponenti della minoranza Pd, pur accettando la decisione del gruppo, hanno ribadito come quello delle sostituzioni dei dieci membri della commissione non sia «un passaggio indolore». Ad essere sostituiti sono Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo, Rosy Bindi, Andrea Giorgis, Enzo Lattuca, Alfredo D'Attorre, Barbara Pollastrini, Marilena Fabbri, Roberta Agostini e Marco Meloni mentre i nomi dei deputati che subentreranno saranno resi noti prima dell'inizio delle votazioni sugli emendamenti, previsto domani alle 14.30.

L'esponente della minoranza dem, Andrea Giorgis, aveva detto: «Abbiamo comunicato che non intendiamo votare né i singoli articoli né il mandato al relatore. Ci è stato detto che saremo sostituiti».

Scontro nel Pd La sostituzione dei membri della minoranza Pd in Commissione Affari Costituzionali in vista dell'Italicum è «un fatto grave». Lo afferma l'esponente della minoranza dem Stefano Fassina. Si tratta «della conseguenza dell'indisponibilità da parte del presidente del Consiglio a riconoscere le correzioni necessarie affinché il pacchetto Italicum-revisione del Senato non porti a un presidenzialismo di fatto senza contrappesi e quindi a una pericolosa regressione della nostra democrazia».

«Non voglio prendere in considerazione la continua minaccia del ricorso alla fiducia. È inaccettabile sul piano di principio», continuato Fassina in vista del voto sulla legge elettorale. Alla domanda esplicita se voterà o meno la legge in Aula, l'esponente della minoranza Pd ha risposto solo: «In Aula presenteremo degli emendamenti».

M5S: pronti a lasciare «Se Renzi espellerà minoranza, ritireremo gli emendamenti e lasceremo la Commissione. È inutile partecipare ad una farsa con burattini che dicono sì a comando», scrive su Twitter il deputato M5s e vicepresidente della Commissione affari Costituzionali, Danilo Toninelli.

Sono 97 gli emendamenti alla legge elettorale che a partire da domani pomeriggio (ore 14.30) saranno sottoposti al voto. Ne erano stati presentati 135 dei quali una parte è stata dichiarata inammissibile in Commissione affari costituzionali. Lo ha reso noto il presidente della Commissione, Francesco Paolo Sisto. Tredici sono quelli del Pd; circa venti quelli del M5S.

Scelta Civica ha presentato cinque emendamenti. «Pur non stravolgendo il testo approvato dal Senato - si legge in una nota - le proposte di Scelta Civica puntano a introdurre miglioramenti sostanziali al fine di meglio conseguire gli obiettivi di governabilità, rappresentanza delle forze minori e rapporto tra eletti ed elettori che una buona legge elettorale deve poter garantire».

«Le proposte di modifiche - si spiega - mirano a raddoppiare il numero dei collegi plurinominali (da 100 a 200) al fine di ridurre i costi della campagna elettorale e avvicinare eletti ed elettori, ponendo le condizioni per una migliore conoscibilità dei candidati; ad introdurre la possibilità di apparentamento tra le liste tra un turno e l'altro per scongiurare il rischio di conseguimento al ballottaggio da parte di un solo partito di premi abnormi e, infine, a prevedere un meccanismo automatico nell'attribuzione del seggio ai candidati plurieletti (l'obbligo di optare per il collegio in cui il partito ha ottenuto la percentuale minore tra quelli in cui il capolista è stato eletto) per evitare il mercato dei seggi dopo il voto e impedire così ai plurieletti di determinare la selezione degli altri candidati tramite la scelta del collegio in cui esercitare l'opzione d'elezione».