Nuovi comici, cattivi nati: è l'ora della “Stand up comedy”

Nuovi comici, cattivi nati: è l'ora della “Stand up comedy”
di Filippo La Porta
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Sabato 22 Agosto 2015, 21:28 - Ultimo aggiornamento: 29 Agosto, 11:18
Chi sono i portavoce e modelli delle nuove generazioni, orfane di maestri riconosciuti? Probabilmente gli stand up comedian, i giovanissimi e iconoclasti comici televisivi, ultima versione del fool shakespeariano che dice la verità.



Su YouTube furoreggiamo gli americani, su tutti Louis C.K., di origine ebreo-irlandese - un po’ sovrappeso, rossiccio di capelli, cattivissimo - e il suo maestro (scomparso) George Carlin - irriverente e con piglio profetico (stupendo un monologo sulla nostra pretesa di salvare il pianeta) -. Nell’ultimo romanzo, Applauso a scena vuota (Mondadori), David Grossman dedica loro un monumento perché comedian lo è il protagonista. In Italia li ritroviamo in Stand up comedy su Sky, dove si raccoglie una manciata di comici poco più che ventenni, capeggiati da Saverio Raimondo, tutti molto scorretti, splatter, blasfemi, esagerati, pornografici, volutamente triviali.



Cosa li differenzia dai cabarettisti tradizionali? Il fenomeno è nato negli States, e là è debitore sia verso la tradizione yiddish più graffiante (da Lenny Bruce a Woody Allen) e sia verso le figure dei predicatori evangelici televisivi. Anche se da noi un modello che circola, più o meno sotterraneamente, sono i superbi monologhi di Walter Chiari a “Studio Uno” degli anni ’60, che però si distinguevano per intelligenza di osservazione ed eleganza lessicale. I nuovi comedian rifiutano polemicamente i modelli recenti, i Grillo e Benigni, giudicati più o meno “corrotti”.



Nessuna vera parentela poi con i Brignano, Battista, etc. e con la generazione di “Zelig” (rispetto alla quale a Stand up comedy c’è una prevalenza romana, perché il gruppo più consistente viene dalle serate al locale capitolino Locanda Atlantide). Tutt’al più Raimondo potrebbe evocare a tratti Daniele Luttazzi. Ma soprattutto: in loro l’intrattenimento non nasconde una intenzione “eversiva”, la comicità ha la pretesa di dire verità scomode e acuminate, la battuta e lo sketch si fa veicolo di visioni del mondo alternative.



BERSAGLIO

Chi è il bersaglio polemico? Non la destra né la sinistra in particolare (la satira compiacente del Bagaglino è lontanissima), ma direi: il luogo comune, lo stereotipo conformista alla Bouvard e Pecuchet, il sentito dire, la retorica animalista e di Tripadvisor, perfino proverbi e saggezza popolare (monologo di Enzo Paci) e subito dopo l’ipocrisia, l’incoerenza sfrontata, la ossessione di edulcorare e mitigare, e poi gli inganni di Facebook (Filippo Giardina: «Su Fb tutti parlano e dunque nessuno parla: il potere ha cancellato la libertà di espressione saturandola»), gli equivoci sulla droga (Francesco De Carlo: «Per non vedere la differenza tra droghe leggere e droghe pesanti devi essere strafatto!»), il mito della creatività (Giorgio Montanini: «L’arte in Italia è reazionaria perché è fatta da dopolavoristi frustrati che magari sono bravi nella loro professione ma devono dimostrare quanto sono creativi»), l’imbroglio democratico (Raimondo: «Non mi sento rappresentato dall’elettorato!»), dunque il perbenismo, i buoni sentimenti e i valori nobili che coprono interessi anche sordidi. E certamente qui tornano certi schieramenti politici: ad esempio il radical chic sinistrorso, percepito come ideologia pseudosofisticata che nasconde una voglia azzannante di potere (monologo durissimo di Velia Lalli, una delle poche donne comedian, accanto a Annalisa Aglioti).



A volte la critica si morde la coda, perché evidentemente l’attacco al cliché diventa subito nuovo clichè, in una ricerca estenuata dell’estremo e dell’oltre, di chi la spara più feroce, di chi scandalizza di più. E proprio su questo terreno - l’épater les bourgeois delle avanguardie - i nuovi comedian rischiano molto, dal momento che ormai il potere non reprime, non vieta più nulla e anzi invita a esagerare nei consumi, a trasgredire, a profanare. Come osservò lo scrittore David Foster Wallace niente è più trasgressivo e autoironico di uno spot pubblicitario (alcuni dei comedian potrebbero essere usati da qualche azienda molto spregiudicata come testimonial). Prendiamo il turpiloquio spinto, denominatore comune dei comedian. Quando avevo vent’anni dire le parolacce era una cosa “sconveniente” e trasgressiva, proprio perché la classe dominante era untuosamente bigotta e perbenista, ma nel momento i cui anche i parlamentari esibiscono volentieri trivialità e vernacolo allora la rivolta deve reinventare il proprio linguaggio. Non intendo fare la morale ai comedian.



Ai loro monologhi spesso ci si diverte, e qui e là affiorano alcune perle di pensiero critico. Ma la satira culturale deve essere caratterizzata sempre da una qualità dello stile e dello sguardo, unica vera “differenza” rispetto alla banalità aggressiva di tutto quello che ci circonda: il cinismo, così sbandierato, se non nasce da pietas e da una capacità di incanto, somiglia troppo al cinismo indiscriminato del potere.
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