Muti: «Il bello della mia Italia e quelle eccellenze da valorizzare»

Muti: «Il bello della mia Italia e quelle eccellenze da valorizzare»
di Rita Sala
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Sabato 29 Agosto 2015, 00:21 - Ultimo aggiornamento: 5 Settembre, 12:41
Occorre una piccola ricerca tra i sinonimi, ormai, per trovare una parola diversa da "trionfo". Ma bisogna, alla fine, tornare all'origine. Come altrimenti definire l'enorme successo di Riccardo Muti, l'altra sera al Grossesfestpielhaus di Salisburgo, alla guida dell'orchestra Luigi Cherubini nell'Ernani di Verdi, eseguito in forma di concerto?



APPLAUSI

Minuti e minuti di applausi, pubblico in delirio che ha ritmato i consensi con il battere dei piedi, ovazioni prolungate per il direttore. Gli esperti spettatori austriaci, esigenti per definizione, hanno gradito a dismisura l'esibizione dell'unico ensemble italiano presente quest'anno al festival della città di Mozart.



Soddisfatto, maestro?

«Pienamente. L'orchestra ha lavorato bene, si è presentata in palcoscenico con la compostezza e la dignità che i musicisti devono alla loro professione, aggiungendo il cuore e la qualità della tradizione italiana».



Lei tiene molto, non ne fa mistero, a questa Italia bella, da esportazione.

«Un Paese come il nostro, che vanta da secoli certi primati e certe eccellenze, non ha ancora imparato a sostenerli e valorizzarli nel modo giusto. Così, quando ci accade di brillare all'estero, vedendo riconosciute e apprezzate le nostre specificità, sono particolarmente contento».



Lasciando l'Opera di Roma, un anno e mezzo fa, lei dichiarò che si sarebbe dedicato, in Italia, ai giovani della Cherubini. Lo ha fatto, guidandoli in lunghe tournée in patria e oltre confine, pur avendo la responsabilità di direttore musicale di una delle più grandi orchestre del mondo, la Chicago Symphony. Pensando anche all'Accademia per direttori, maestri collaboratori e cantanti che ha tenuto in luglio a Ravenna, si può ritenere ormai fondamentale, in lei, la "vocazione giovani"?

«Ad un certo punto della vita e della carriera ho sentito il bisogno di non disperdere il patrimonio di tecnica, tradizione e bellezza ricevuto dai miei maestri. Patrimonio che mi ha permesso di arrivare dove sono arrivato. Questa esigenza di creare un fil rouge con gli artisti che si stanno formando ora ha trasformato in imperativo lo slancio iniziale. E sì, possiamo dirlo, ha conquistato un posto fisso nella mia esistenza. Fermi restando la Chicago, i Wiener, i Berliner, eccetera».



Tornerà all'opera lirica in forma scenica, tra l'altro, proprio con i Wiener a Salisburgo, nel 2017, un'Aida-evento con Netrebko, Rachvelishvili, regia dell'iraniana Shirin Neshat.

«Aggiungerò altri podi ai 248 che mi dicono (io non avevo tenuto il conto) abbia collezionato a Salisburgo dal 1971 ad oggi».



Tornando all'Ernani che replicherà questa sera: quale messaggio specifico gli ha affidato?

«Quello di trasmettere alla gente il "vero" Verdi, troppo spesso afflitto, soprattutto nel suo primo periodo (l'Ernani vi appartiene), da volgarità e accenti bandistici che non gli appartengono. Il nostro massimo musicista ha il diritto di essere conosciuto e amato in tutto il mondo nella sua autenticità. È un altro degli obiettivi che perseguo da anni».



Il cast - Meli Abdrazakov, Salsi Yeo - l'ha seguita in tutto e per tutto. E, pur essendo abolita dalle loro prestazioni ogni inutile pompa, sono fioccati applausi a scena aperta dopo ogni aria.

«Il pubblico capisce e apprezza. I cantanti, del resto, sono stati davvero strepitosi. Tutti. Persino gli artisti del magnifico Coro di Vienna, molto presente e coinvolto, si sono alzati in piedi per applaudire le voci e l'orchestra. Un'Italia da applausi insomma, alla quale i nostri media dovrebbero riservare più attenzione».



Quanto rumore, sempre, attorno a lei, maestro! Le mille domande, molte delle quali uguali a se stesse: torna o non torna alla Scala, cosa pensa di questo e di quello, ripeterà l'esperienza dell'Accademia e dove, et similia. Dove trovano spazio in tanta continua bagarre, tra un viaggio e l'altro, tra lo studio di una partitura e le lunghe sedute di prova, i suoi umori segreti, le sue fughe nel sogno e nell'utopia?

«C'è un posto, in Puglia, ai piedi di Castel del Monte, dove ho un terreno e qualche trullo. Laggiù le albicocche crescono all'antica, all'ombra del mistero, più piccole di quelle esibite nei supermercati. Ma il loro sapore è prezioso, autentico, presumibilmente originario. Le zolle, tra gli ulivi, sono rosse e carnose. Se alzo gli occhi dal vivo o nella fantasia mi viene incontro l'immagine di Federico II, vedo il falcone staccarsi dal suo braccio, alzarsi, roteare nel cielo e poi, dopo aver visto il mare, ripiombare giù, sul polso guantato dell'imperatore. In primavera i prati si riempiono di fiori di zafferano e tutto, a partire dal cibo, ha sapore. I miei pensieri intimi li riservo a questo buen ritiro. A suo modo è musica, pura musica».
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