Il regista Garrone: «Senza premi ma a testa alta»

Il regista Garrone: «Senza premi ma a testa alta»
di Gloria Satta
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Giovedì 28 Maggio 2015, 22:28 - Ultimo aggiornamento: 4 Giugno, 18:38
«Sono felice e rilassato. Il mio film a Cannes è stato accolto benissimo e venduto in tutto il mondo, America compresa. Niente premi? Non me la prendo, fa parte del gioco. E noi italiani siamo tornati a testa alta». Matteo Garrone ha tutto meno che l’aria dello sconfitto. Il racconto dei racconti, che con Mia madre di Nanni Moretti e Youth-la giovinezza di Palo Sorrentino rappresentava l’Italia sulla Croisette, sta macinando ottimi incassi: la coraggiosa, visionaria incursione nel fantasy del regista romano cattura un pubblico trasversale. Ragazzi e adulti vengono conquistati dal mondo incantato delle favole seicentesche di Giambattista Basile che Matteo ha portato sullo schermo con tante superstar (Salma Hayek, Vincent Cassel, John C. Reilly) e un budget di 12 milioni di euro.



Garrone, 46 anni, ieri pomeriggio ha raccontato il suo cinema dalla fortissima componente pittorica (si è formato nelle arti visive, è stato prima pittore che cineasta) a Massimiliano Finazzer Flory nell’ultimo appuntamento della rassegna “Il gioco serio dell’arte” organizzata dal Gioco del Lotto a Palazzo Barberini.



Dica la verità, le è dispiaciuto non essere premiato a Cannes?

«Sono stato in giuria a Venezia nel 2012 e so che il verdetto è soggettivo e soggetto agli umori del momento. Io stesso mi sono poi pentito del voto che avevo dato. Ottenere un premio è come vincere alla lotteria. Quando vai a un Festival, devi mettere nel conto di rimanere a mani vuote. La vita di un film va oltre i riconoscimenti».



Si aspettava che tante polemiche accompagnassero in Italia la mancata premiazione dei vostri film?



«Non le ho seguite e penso che non servano a nulla. Anzi, nuocciono al cinema e sono espressione di provincialismo. La storia è costellata di bellissimi film ignorati dalle giurie, come Birdman rimasto a mani vuote all’ultima Mostra di Venezia o Non è un paese per vecchi snobbato a Cannes. Ci sono anche dei film che vincono premi ma poi vengono dimenticati».



Qual è il ricordo più bello di questa sua ultima partecipazione a Cannes, dove aveva vinto il Grand Prix sia con Gomorra sia con Reality?

«La proiezione ufficiale, che si è conclusa con un interminabile applauso. Per la prima volta vedevo il film con gli attori e li scoprivo emozionatissimi. E’ stata una serata magica, e me la sono goduta tutta. Le volte precedenti invece ero più teso».



Cosa rappresenta, per lei, Il racconto dei racconti?

«È il film più difficile della mia carriera. Quello in cui ho investito tutto: non l’ho soltanto sceneggiato e diretto, l’ho anche prodotto. Ed è stata un’impresa acrobatica mantenere alta la qualità affrontando con un po’ d’incoscienza il genere fantasy, da noi raro».



Come ha reagito al film suo figlio Nicola, che ha 7 anni?

«Si è molto divertito. È rimasto colpito, in particolare, dalla battaglia subacquea tra il re e il drago. Era venuto sul set con tutta la classe quando avevo girato quella scena così spettacolare...».



È sempre dell’idea di realizzare un sequel o una serie tv con il materiale che non è riuscito a utilizzare?

«È una probabilità. Basile ha scritto 50 favole, quindi gli spunti non mi mancherebbero, ma per il momento accompagno il film nel mondo. Poi si vedrà».



Ma lei cosa pensa delle serie tv? Sono la nuova frontiera del cinema o una moda passeggera?

«Credo rappresentino una nuova risorsa. Consentono di sviluppare al meglio i personaggi e le dinamiche del racconto, mentre noi registi abbiamo la possibilità di esplorare linguaggi inediti».



Dopo il suo film, da Gomorra è nata la serie Sky, che ha avuto un grande successo nel mondo intero. Che ne pensa?

«Fui il primo, già nel 2008, a sostenere che dal romanzo di Saviano si dovesse ricavare una serie. Poi si decise di fare il film. Ora sono contento che la fiction sia andata tanto bene».



Al di là del mancato premio, la presenza dei vostri film a Cannes è il sintomo della rinascita del cinema italiano?

«È un dato di fatto che oggi ci siano dei registi italiani capaci di imporre la loro personalità. Ma non userei la parola rinascita: sa troppo di slogan».

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