Il cardinale Zuppi e lo psicanalista Zoja: «La giustizia senza cuore è disumana»

Il cardinale Zuppi e lo psicanalista Zoja: «La giustizia senza cuore è disumana»
di Andrea Velardi
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Sabato 11 Maggio 2024, 07:22
Il Salone del Libro di Torino sta ospitando una serie di incontri su personaggi della letteratura che parlano all’uomo di oggi. Ieri lo psicanalista junghiano Luigi Zoja e il presidente della Conferenza Episcopale Italiana cardinale Matteo Maria Zuppi si sono confrontati, moderati da Alessandro Zaccuri, sul tema Raskolnikov e l’Innominato: cosa significa vivere? Zoja ha scritto per Bollati Boringhieri libri ormai famosi come Il gesto di Ettore dedicato alla scomparsa del padre e Sotto l’iceberg - Presenze inconscie nella società e nella storia e sin da subito ha sottolineato la modernità dei personaggi di Manzoni e Dostoevskij perché questo senso di onnipotenza invade oggi l’essere umano incarnandosi in leader mondiali che agitano conflitti e operano manipolazioni perverse come accade con Putin, il quale fa leva sugli strascichi romantici del vagheggiamento del Sé e di nostalgie del passato che portano alla contraddizione come sintetizza lo slogan: «Chi rimpiange il comunismo manca di testa, chi non rimpiange il comunismo manca di cuore». Con questo groviglio di tensioni la Russia influenza ancora la cultura occidentale e anche la psicanalisi emerge da quel romanticismo come ha aveva capito Aleksandr Etkind. Zoja sottolinea anche come le figure femminili corrispondenti, Lucia dei Promessi sposi e Sonia di Delitto e Castigo rimangono proiezioni di un’orizzonte maschiocentrico, anche se fronteggiano la tracotanza di chi compie quello che Jung chiamerebbe un peccato luciferino e non solo sensuale.

Il cardinale Zuppi riprende il discorso sull’onnipotenza perché «Raskolnikov uccide l’usuraia per superomismo e in nome di ideologie comunitarie non diversamente da come ha deciso di uccidere la generazione dei miei compagni di classe del 1968». Si aggancia al libro La Morte del prossimo di Zoja per ricordare «come questa coincide con l’uccisione di Dio e di noi stessi. Tutto è collegato. E per questo sia l’Innominato che Raskolnikov entrano in crisi. Nel delitto c’è la colpa poi il castigo da cui non riesco a scappare. Occorre una giustizia che si intreccia con la comprensione come il padre misericordioso di Rembrandt che ha una mano maschile e una femminile». 
Ricorda «un collega cardinale che ha rimproverato a Papa Francesco l'eccesso di misericordia dicendo che prima dobbiamo fare ritrovare il senso del peccato e poi dare spazio alla misericordia. Ma il suo sbaglio è di non capire che nell'essere umano c’è già un disagio psicologico, etico e sociale del fare il male per cui già si apre alla necessità di un riscatto. Infatti nell’Innominato e in Raskolnikov c’è anche la consapevolezza di dover pagare. Entrambi hanno bisogno del perdono, ma da soli non riescono a trovarlo. Certamente la negazione del male morale è una distorsione. Dobbiamo tornare a dire no».

Zuppi se la prende così con i due eccessi della nostra epoca, il relativismo da una parte e il giustizialismo e per questo gli domandiamo se essi non vadano a braccetto essendo l'uno risvolto dell’altro. Scambiamo il giustizialismo per giustizia e lo esigiamo perché in qualche modo ci assolve da non avere più valori. Ma ci fa eccedere in una sorta di desiderio morboso della colpevolizzazione e della punizione. Zuppi risponde che «il giustizialismo è l'illusione, la caricatura della giustizia ed è sia anti-evangelico che anti-umano. La vera giustizia è sempre liberante riscatta l'essere umano e lo apre al perdono perché innanzitutto è un fatto interiore». 
 Facciamo notare a Luigi Zoja come una conferma di questo disagio sta nella coesistenza paradossale di onnipotenza e fragilità nella nostra società e lui ci risponde come «nell’epoca della digitalizzazione, sia diffuso questo disagio e una mancanza di controllo della realtà. L’ipertrofico postmoderno non è aperto al ritrovarsi. E l'Onnipotenza non è solo un male teologico, ma anche psicopatologico. Nella regressione dell’oggi vediamo i giovani spaventati dalla sessualità di cui conoscono solo le deformazioni». 

Insomma, «manca un’armonia tra natura, educazione e civilizzazione. L'istinto è sempre meno controllato e l'abitudine al digitale costringe a reazioni sempre più veloci. Ma queste sono una risposta efficiente se devi frenare per il semaforo rosso, non se la risposta implica uno sguardo interiore richiede tempi più lunghi. Finiamo di reagire solo in base alla nostra parte animale. Il cambiamento lo vedo con i miei pazienti. Anni fa, come da tradizione consigliavo di tenere un quaderno dove annotare i sogni perché se no sfuggono. Oggi tutti usano il tablet e così non appena devono fare questo gesto importante vengono distratti e si dimenticano della loro interiorità».
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