Fanny, tenendo in braccio Fanneke che era nata da qualche settimana e per mano Jan il primogenito che aveva cinque anni, chiese al ginecologo: «Dottore, se riprendo ad allenarmi può danneggiare l’allenamento?». «Provaci, e lo vedrai da sola» le rispose il medico. Era l’inverno del 1946. Fanny Blankers-Koen, atleta olandese, velocista e saltatrice, ci provò. Nell’estate di quell’anno, a Oslo, quando lo sport internazionale cercava di rinascere sulle rovine della guerra, ai campionati europei, vinse due medaglie d’oro, negli 80 ostacoli e nella staffetta veloce. Fallì la gara dell’alto: scivolò e cadde, forse distratta da Fanneke che frignava in pedana tra una prova e l’altra reclamando la poppata.
Fanny si era portata i bambini ed aveva lasciato a casa le molte lettere che aveva ricevuto e che le davano della “madre snaturata” perché trascurava i figli per lo sport: non c’erano ancora i leoni da tastiera, ma gli haters sì. Di lì a due anni, a Londra 1948, primi Giochi Olimpici del dopoguerra, le lettere che le arrivarono la avrebbero definita “la mammina volante”: vinse tutto l’oro dello sprint, 100, 200 e staffetta, più gli 80 ostacoli. Questa gara credeva di averla persa al fotofinish perché era piombata sul traguardo insieme con la britannica Maureen Gardner e subito la banda partì con “God Save the King”. Ma non era per il verdetto, era per l’ingresso di Giorgio VI nello stadio. Furono quattro ori, il primo poker femminile: il primo maschile era stato, nel 1936, quello del lustrascarpe nero Jesse Owens che a Berlino aveva visto Hitler, deluso e furioso abbandonare la tribuna autorità.