Torna a Roma la seconda edizione di "UnArchive Found Footage Fest", dal 28 maggio al 2 giugno 2024

Ideato e prodotto da Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio in collaborazione con Archivio Luce - Cinecittà. Il primo festival interamente dedicato al riuso creativo delle immagini è diretto da Marco Bertozzi e Alina Marazzi. L'Intervista ad Alina Marazzi

Torna a Roma la seconda edizione di "UnArchive Found Footage Fest", dal 28 maggio al 2 giugno 2024
di Carmela De Rose
10 Minuti di Lettura
Martedì 14 Maggio 2024, 15:10

Torna per la sua seconda edizione UnArchive Found Footage Fest, a Roma dal 28 maggio al 2 giugno 2024. Ideato e prodotto dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico ETS in collaborazione con Archivio Luce - Cinecittà, con il patrocinio del MiC – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, il primo festival interamente dedicato al riuso creativo delle immagini è diretto da Alina Marazzi e Marco Bertozzi.   

Frutto di una profonda riflessione sulla funzione degli archivi audiovisivi e cinematografici nel mondo contemporaneo, nello sviluppo dell’arte, della cultura e più in generale della società civile, UnArchive Found Footage Fest ricerca e prova a raccontare il paesaggio vasto e multiforme del found footage, un orizzonte iconico in continuo mutamento che accoglie in sé una moltitudine di materiali, immaginari, supporti e tecnologie. Un cinema rivolto al presente che scruta, interroga, riaccende, a volte ribalta le proprie fonti. Un cinema che brucia, come campeggia sul manifesto di questa edizione, realizzato dall’artista Gianluca Abbate.   

Il programma - 115 opere tra lungometraggi, cortometraggi, installazioni e performance - ha le fattezze di un mosaico multidimensionale, composito, imprevedibile, che racconta le diverse modalità di riuso creativo, i suoi protagonisti, le loro pratiche ed estetiche. Forme molteplici accolte in altrettanti spazi nel quartiere Trastevere: le tre sale del Cinema Intrastevere ospitano le proiezioni di film; il locale Live Alcazar è dedicato alle performance dal vivo; l’Accademia di Spagna a Roma è la sede di panel e tavole rotonde; il Tempietto del Bramante e Vicolo Moroni sono luoghi estemporanei di installazioni artistiche. Tutto alla presenza di importanti ospiti internazionali, che accompagnano le loro opere in un aperto dialogo con il pubblico.  

Il concorso internazionale di "UnArchive". 

Al centro del programma di UnArchive il Concorso internazionale, dedicato a opere audiovisive di qualunque genere, formato, durata e nazionalità, caratterizzato dall’uso libero e creativo di materiali d’archivio. 

11 lungometraggi dai confini porosi – dichiarano i direttori - in grado di restituire creatività non imbrigliate, sguardi non stereotipati provenienti da diversi continenti e identità culturali. Storie personali che intrecciano esperienze, condizioni e mutamenti condivisi; oppure potenti narrazioni collettive che si declinano in sguardi vissuti da singoli. Tra i 12 cortometraggi, sempre con temi e provenienze eterogenee, una maggiore varietà di sperimentazione linguistica e di tecniche adottate.  
Le opere della sezione competitiva concorrono per i premi del Festival UnArchive Award (€ 3.000) 
aperto a tutte le opere selezionate; Best Feature Film Award (€ 1.500) per il miglior lungometraggio, Best Short Film Award (€ 1.500) per il miglior cortometraggio, assegnati da una giuria internazionale composta dai registi Bill Morrison Firouzeh Khosrovani (tra i vincitori della prima edizione) e dalla montatrice e regista Sara Fgaier. Ad assegnare tre omologhi riconoscimenti una giuria studenti, composta da allievi di scuole e università e coordinata dal regista Giovanni Piperno.   

Gli eventi speciali. 

Tra gli eventi speciali: il focus An unusual archive, dedicato al regista palestinese Kamal Aljafari e al suo incessante tentativo di ricomporre e mostrare in una prospettiva inedita l’archivio disperso di un paese non tratteggiato sulle carte geografiche, e l’evento Archiveology, sull’opera di Bill Morrison e sul suo film-manifesto Decasia, proiettato e discusso in un dialogo tra l’autore e la studiosa Rossella Catanese.  
Ancora fuori concorso: Frontiere presenta 4 titoli internazionali per una riflessione sui confini geografici ed estetici del found footage; Panorami italiani offre uno sguardo su opere che mostrano la varietà di pratiche e poetiche nel found footage italiano; la Carte blanche di Philippe Alain Michaud propone due nuovi programmi con film provenienti dagli archivi del Centre Pompidou; la sezione Riuso di classe si arricchisce di nuove collaborazioni con scuole nazionali e internazionali per presentare i lavori di giovanissimi cineasti.   
Alla collaborazione con il ReFrame Award di IDFA si aggiunge quella con un altro festival internazionale, il MUTA, Festival Internacional de Apropiación Audiovisual di Lima, con una 
selezione di cortometraggi peruviani.  
Infine quest’anno prende vita anche la sezione AAMOD Reloaded, che ripropone in forma monocanale alcune tra le più interessanti live performance prodotte dall’Archivio. 
Oltre le pareti della sala cinematografica, nella sezione UnArchive//Expanded, due lavori di Studio Azzurro che rivolgono uno sguardo inedito ai propri archivi: l’installazione site specific La cesta del montatore, accolta nell’inaspettata cornice del Tempietto del Bramante, e il loop audiovisivo Radici iconiche. 
Per la stessa sezione un appartamento in Vicolo Moroni, Casa Borelli, si apre all’installazione Afterimage.  
All’Alcazar Live la sezione Live performance promette un viaggio lungo le diverse pratiche di riuso e musicazione dal vivo delle immagini, dal montaggio di materiali Luce - in occasione dei cent’anni dell’Istituto - tutto dedicato all’elemento dell’acqua, diretto da Roland Sejko per le musiche di Teho Teardo, alla sonorizzazione dal vivo di film sperimentali di Gianfranco Brebbia, al VJing collagista di Gianluca Abbate e Alessandro D’Alessandro.    
Il Festival propone nella sala conferenze dell’Accademia di Spagna a Roma due momenti più strutturati di approfondimento e confronto: il panel L’immagine situata. Pensieri e pratiche 
d’archivio tra femminismo e decolonialità, con interventi di artiste, ricercatrici, e teoriche, e la tavola rotonda Poetiche del riuso nel contemporaneo. Forme, pratiche, esperienze a confronto con le autrici e gli autori presenti in questa edizione.

Le masterclass.

Infine, due degli ospiti d’eccezione, Sergei Loznitsa e Eyal Sivan sono anche protagonisti di altrettante masterclass incentrate sulle pratiche di riuso, la prima organizzata in collaborazione con l’Università IULM, la seconda con la NABA di Roma.  Il cinema d’archivio mostra più che mai la sua vitalità e la sua capacità di rielaborare il passato in processi estetici e critici tutti contemporanei. Un cinema al confine tra privato e pubblico, tra poetico e politico.

Un cinema che brucia.  

Intervistando Alina Marazzi, direttrice artistica del Festival. 

Da dove nasce l’evento “Unarchive Found Footage Fest”?

“Tutto nasce da una visione, da una pratica, dall'archivio visivo del movimento operaio democratico co-fondato da Cesare Zavattini. Questo evento, intende l'archivio non solo come luogo di conservazione e preservazione, quindi come luogo chiuso e aperto solo a fini di studio, ma anche come un luogo da cui possono essere liberate le immagini del passato ed essere quindi poi fatte proprie, reinterpretate, rilette e rielaborate. Nel corso degli anni, l'archivio ha messo in atto una serie di attività, la più nota, si chiama premio Zavattini. Un bando rivolto ai giovani registi, che vengono invitati per proporre un progetto per un cortometraggio a base d'archivio. Ai progetti selezionati, viene permesso l'utilizzo dei materiali d'archivio provenienti da Amood ma anche da altri archivi partner che partecipano all’evento. Lo scopo principale è far uscire questi preziosi documenti dal magazzino per studiarli e riusarli.”

C’è anche una sezione dedicata alla musica?

“Ci sono una serie di residenze artistiche, in particolare una che si chiama “Suoni e Visioni” sempre promossa da Amood, negli anni ha invitato musicisti sound artist a collaborare con artisti visivi per creare appunto delle performance live, proiezioni con sonorizzazione dal vivo. Verso questa scia, nc'è stata un po’ l'esigenza di offrire una vetrina del panorama internazionale di questo tipo di lavoro molto particolare, che consiste di creare nuove narrazioni a partire dall'archivio però con un approccio più vicino a quello delle pratiche artistiche delle arti visive piuttosto che del documentario storico.  L'anno scorso c’è stata la prima edizione del Festival, nel 2022 c'era stato una sorta di numero zero sempre a Roma. Io e Marco Bertozzi (è stato docente di Storia del Cinema documentario e del cinema sperimentale al Dams presso lo IUAV di Venezia), abbiamo iniziato l’anno scorso a curare la direzione artistica.  Negli anni, anch'io ho partecipato al premio Zavattini come tutor, quindi il rapporto con Amood era già condiviso da tempo.”

Per quanto riguarda la preparazione del Festival?

“La preparazione al Festival è molto condivisa con il gruppo di lavoro, perché naturalmente è un lavoro grosso quello di andare a recuperare i film. C'è una preselezione, c'è la creazione di un programma di interazione con gli autori perché poi è un festival, una vetrina, una rassegna di film che magari non è facile vedere nei canali canonici di distribuzione. È importante, perchè è anche l'occasione per incontrare gli autori. La cosa bella, già accaduta dall'anno scorso, è la partecipazione dei registi di questi film in una dimensione di un festival accogliente perchè è stato molto importante per il pubblico appunto avere un contatto diretto con loro. Quest’anno, oltre alle presentazioni in sala dei loro film ci saranno anche delle masterclass. Avremmo il noto regista ucraino Sergei Loznitsa, che quest’anno presenterà a Cannes il suo film documentario “The Invasion", film a base d'archivio, che fa parte di una trilogia di film lungometraggi che attingono da archivi russi su degli eventi storici della seconda metà del Novecento.”

Per questo Festival ci sarà soprattutto spazio per i giovani….

“Certo, tra l'altro l'anno scorso c'è stata una grande partecipazione di giovani studenti, o accademie dell'arte o scuole di cinema. E anche quest’anno, c'è una sezione nel programma dedicata ai lavori che escono proprio da tutte queste scuole di cinema, dal CSC Roma e Palermo, alla Scuola del documentario dell'isola di Urbino. La sezione si chiama “Frontiere", dove vengono mostrati i corti che vengono prodotti da tutte queste diverse scuole. Ma non solo c'è anche il Naba di Milano e l'Istituto superiore d'arte Accademia delle belle Arti di Bologna. Anche quest'anno c'è una giuria di giovani che votano e assegnano dei premi, questo aspetto è bello perché dal punto di vista formativo i giovani possono guardare i film e poi discuterne. Queste giurie giovani si sono abbastanza allargate l'anno scorso erano 50 studenti, quest'anno saranno di più".

Il Festival dialogherà anche con le arti visive, con gli Studio Azzurro?

Si, gli Studio Azzurro hanno realizzato due opere completamente nuove, proprio rispondendo al nostro invito, quindi sono opere inedite in cui loro rielaborano il loro archivio. Quindi è interessante, perché loro hanno una lunga storia di produzione di immaginari ovviamente hanno un loro archivio, sia di elettronica ma anche di fotografie e su diversi supporti e hanno quindi realizzato due opere che vengono presentate installate al Tempietto del Bramante e che sarà possibile vedere durante tutti i giorni del Festival. Sempre in questa scia nel locale Alcazar abbiamo programmato tre serate di live performance, quindi di proiezioni e musica dal vivo, di tre diverse opere."

Ritorniamo indietro nel tempo, quando ha realizzato “Un ora sola ti vorrei”, come ha lavorato con l'archivio e con la traccia e con la ripetizione di questa traccia? 

"Diciamo che, ogni film segue un processo un po’ a sé e questo devo dire l'ho riscontrato anche nel lavoro di programmazione per il Festival. Ognuno di questi film è un po’ un ‘unicum’, poichè sono dei film che hanno dei processi creativi diversi. L'idea di base è comunque partire dalle immagini, quindi partire dall'archivio. Nel caso dei miei film, io sono partita certamente dall'archivio personale. Non mi sono inventata una storia, ho come dire elaborato i materiali provenienti da un'unica fonte, che era quella familiare ma anche per quanto riguarda i testi e le fotografie. Nel caso di “Vogliamo anche le rose”, c'era l'idea di affrontare una tematica, un periodo storico facendo parlare l'archivio in prima persona, in qualche modo non seguendo una traccia di documentario più informativo ma partendo proprio dalle immagini conservate appunto nei diversi archivi. Nel caso di “Vogliamo anche le rose”, le fonti interpellate sono state molte e molto diverse tra loro, tra quelle più ufficiali e quelle più sperimentali. Comunque al centro, c'è sempre la volontà di raccontare qualcosa, una storia nel mio caso. Non è pura sperimentazione formale, mentre vedo per esempio che molti cortometraggi che abbiamo ricevuto per il Festival (che abbiamo anche inserito), hanno l'aspetto della sperimentazione sul linguaggio molto presente e molto forte nei Corti, si vede che c'è una ricerca sul discorso e sulla forma che è molto interessante. Dipende come vuoi fare documentario se vuoi raccontare interrogrando l'archivio e racconttando la sua storia oppure no."

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