«Quando ero presidente della commissione Giustizia e parlavamo di separazione delle carriere la prima domanda era sempre: “Quanti voti ci fa prendere e quanti ce ne fa perdere?” Anche oggi è così, i tempi sono maturi ma prevarrà la logica politica. Spero solo che FdI e Lega non giochino solo a tranquillizzare Forza Italia». Gaetano Pecorella, classe 1938, ex deputato di FI e a lungo tra gli avvocati del Cavaliere, c’era quando Silvio Berlusconi contava di riuscire davvero a separare le carriere dei magistrati. E c’era pure quando, da presidente dell’Unione delle Camere Penali a fine anni ’90, pensavano di riuscirci gli avvocati. «Ne parlammo già quando si discuteva della nascita dell’Ucpi a Bari. Se in 50 anni non si è riusciti a farla è perché i magistrati hanno un fortissimo potere di controllo del potere politico. Non credo sia tanto diverso».
Professor Pecorella, è la volta buona?
«Credo ci siano gli ingredienti giusti. Mi pare che il Paese abbia capito che chi fa il giudice non deve fare l’accusatore e chi fa l’accusatore non può fare il giudice. L’ha fatto a caro prezzo però, soprattutto per quelli che hanno avuto la disgrazia di trovarsi coinvolti in un processo. Detto ciò l’entusiasmo che leggo in giro è prematuro».
Perché?
«È una riforma costituzionale, ha un iter lungo, e ancora non c’è un testo base su cui discutere.
Teme boicottaggi?
«Ho letto l’intervista di un magistrato che ha rappresentato delle idee a dir poco provinciali sostenendo che “É la riforma di chi ha in antipatia un singolo pm” (il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia ndr). Come si fa a non temerne quando tutti dimenticano che la separazione delle carriere è un principio costituzionale? Non lo dice nessuno ma quando fu approvato il nuovo articolo 111 della Costituzione si disse che i giudici dovevano essere non solo imparziali ma terzi. Questo inevitabilmente vuole dire che il giudice appartiene ad un sistema che è distinto sia dal pubblico ministero che dal difensore».