Matteo Falcinelli torturato a Miami: «Non ho fatto nulla». Agenti smentiti dai video

Il ragazzo è libero e può espatriare, ma a giugno dovrà ripresentarsi negli Usa

Matteo Falcinelli torturato a Miami: «Non ho fatto nulla». Agenti smentiti dai video
di Valentina Errante e Anna Guaita
5 Minuti di Lettura
Lunedì 6 Maggio 2024, 07:00

All'inizio sembra che i poliziotti vogliano solo che lui vada via, che la smetta di protestare: «Dammi retta, fratello, va’ a casa, chiama un Uber, chiama chi vuoi, ma vattene» dicono gli agenti. Ma lui cita i suoi diritti costituzionali, e insiste, sostenendo che i suoi due cellulari sono rimasti all'interno del locale. Senza cellulari peraltro, non può chiamare nessuno. Matteo Falcinelli cerca di attirare dalla sua parte i poliziotti e spiega che i telefoni sono «nel retro del locale», ma gli agenti rispondono che nel locale non ne sanno nulla. Ed è qui che Matteo compie l'errore più banale, alzando la voce: «Rivoglio i miei fottuti telefoni. Chiudi quella fottuta bocca. Dimmi il tuo nome» protesta.

L'incidente di cui il 25enne studente umbro era stato vittima al “Dean's Gold”, un esclusivo locale di spogliarello di Miami Beach, diventa un incubo.

Ha rivendicato i suoi diritti, alzando la voce. Lui assicura di aver al massimo puntato un dito sul petto di uno dei poliziotti e dai video si vede che non va oltre. Le immagini choc del suo arresto, avvenuto lo scorso 25 febbraio, e rese note soltanto in queste ore dalla famiglia, scuotono, fino a indurre alla «massima attenzione sul caso» la Farnesina, che segue la vicenda attraverso il consolato generale, non aveva visionato i video. La polizia di Miami ha avviato un'indagine interna e il ministro Antonio Tajani, che ha anche chiamato la madre del ragazzo, ha sollecitato la massima attenzione al caso all’ambasciatore Usa in Italia, Jack Markell. E si è detto «profondamente colpito dalla violenza e dal tipo di trattamento che è stato applicato al nostro giovane connazionale: quel sistema in Italia evoca qualcosa che neppure voglio nominare».

IL PESTAGGIO
Dal momento in cui Matteo alza la voce la situazione precipita e comincia l'incubo di Matteo. Spinto a terra, mentre - in perfetto inglese e quindi comprensibile dai poliziotti - ripete: «Non sto resistendo, non sto resistendo!» Viene ammanettato, tenuto fermo a terra con un ginocchio sulla spalla. Ecco la prima contraddizione fra quello che ha poi ricostruito Matteo e quello di cui la polizia lo accusa: nel mandato di arresto si leggono quattro capi di accusa, due crimini e due violazioni: due casi di “violenza contro un ufficiale della legge”, un caso di resistenza all'arresto senza ricorso alla violenza e un caso di violazione di domicilio. Grazie alle bodycam degli stessi poliziotti si vede il momento in cui lo buttano a terra, reagendo alle sue proteste chiaramente non violente. Le bodycam registrano anche la ricomparsa dei due cellulari, depositati dalle mani di un individuo che esce dal locale e glieli posa accanto, per terra: e questa è la seconda contraddizione fra la ricostruzione di Matteo e quella della polizia. All'inizio del filmato, infatti i poliziotti gli dicono varie volte che nel locale non ci sono telefoni. E invece ecco che ricompaiono. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dagli agenti, il ragazzo non chiede mai di avere indietro i 500 euro spesi nel locale. Dopo queste scene, le bodycam tacciono misteriosamente per 40 minuti, fino all'arrivo alla centrale. La polizia dirà poi che Matteo resisteva, ma le immagini non mentono e contraddicono le loro dichiarazioni: Matteo non sta più resistendo, ma è chiaramente provato e i poliziotti quasi lo trascinano. Decidono di legarlo mani e piedi, in una posizione detta “hogtie” vietata per la sua pericolosità in quasi tutte le caserme di polizia. Matteo piange, supplica, urla: «Non sto facendo nulla di male...per favore, per favore!» ma uno dei poliziotti gli dice: «Ti avevamo avvertito!». Un’ex procuratrice distrettuale è sgomenta davanti al ricorso all'incaprettamento di un giovane incensurato, fermato per motivi non violenti: «Vergognoso, non doveva succedere».

IL PROCESSO
Cosa ha spinto i poliziotti a legare Matteo come il più pericoloso dei criminali rimane un mistero. Di certo però il giudice Carmen Cabarga, che il giorno dopo giudica il suo caso deve aver capito che si trattava di una punizione eccessiva: Matteo non solo viene rilasciato, ma condannato a pagare solo 50 dollari di multa. Dello choc traumatico che ha subito, nella notte in cella senza neanche una coperta o un cuscino, con le caviglie e i polsi arrossati e doloranti, con la faccia piena di contusioni, non si fa cenno nei documenti del processo. Per lui, nessuna prescrizione: è stato ammesso dal giudice al programma Pti, una sorta di messa alla prova per sei mesi, che fa decadere le accuse di resistenza a pubblico ufficiale e opposizione all’arresto senza violenza. Matteo può espatrire, potrebbe tornare in Italia nelle prossime settimane, ma ha paura. Il suo legale americano attende la formalizzazione della decisione del giudice, perché il ragazzo non abbia problemi. Ma a giugno dovrà comunque ripresentarsi a Maiami.

IL RITORNO
Il suo avvocato in Italia, Francesco Maresca, valuta di rivolgersi alla procura di Roma, perché attraverso la Farnesina solleciti l’apertura di un’indagine, chiedendo informazioni sull'accaduto agli Usa e per sollecitare le autorità americane a procedere in modo diretto nei confronti dei poliziotti. Una vicenda che potrebbe concludersi anche con una richiesta di risarcimento. E anche sul rientro, Maresca auspica un intervento della Farnesina, perché avvenga con tutte le garanzie, senza il rischio, per Matteo, di incorrere in altri incidenti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA