Pieragostini (Dami): «Il mondo delle calzature sa essere maschilista. Discriminata nella mia azienda, ora lotto per la parità di genere»

Elisabetta Pieragostini
di Véronique Angeletti
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Domenica 19 Maggio 2024, 04:00 - Ultimo aggiornamento: 11:18

Elisabetta Pieragostini, amministratrice delegata dell’azienda di famiglia Dami srl di Sant’Elpidio a Mare che produce fondi per calzature e opera nel settore moda, è laureata in Scienze della Comunicazione, mamma di due figlie adolescenti, blogger e scrittrice, Quant’è difficile per una donna guidare un’impresa?

«Oggi è già difficile fare impresa con i fattori esterni che conosciamo tutti. Per una donna lo è molto di più».

Perché?

«La donna non viene considerata all'altezza o, meglio, competente per poter portare avanti un'azienda e quindi è costretta a lavorare il doppio. È il retaggio di un sistema culturale discriminatorio».

Lo ha vissuto personalmente?

«Sì e ne ho fatto un saggio proprio per trasmettere la mia testimonianza. Quando sono entrata nel mondo del lavoro ho avuto molte difficoltà con i clienti che, seppur fossi la titolare, dicevano che preferivano parlare con qualcuno di competente che capiva qualcosa delle suole. Un mondo, quello delle calzature, secondo cui non potevo capire la parte tecnica, chimica del prodotto».

Quando è successo?

«Quando c’è stato il passaggio generazionale, nel 2012, nell’azienda fondata da mio padre e mio zio nel 1968 e questa discriminazione l’avvertivo da parte di tutti in un ambiente di lavoro fortemente maschile e a tratti maschilista. Da clienti, fornitori e da parte anche di dipendenti a cui ho raccontato la mia storia proprio questa mattina (ieri, ndr) nel quadro della giornata di informazione Anmil sulle violenze e molestie e le differenze di genere».

Oggi come si trova?

«Qualcosa è migliorato però c'è ancora tanta strada da fare. Si inizia a capire che chi amministra, che sia uomo o donna, fa delle scelte strategiche e sa molto della propria azienda. Quando sono diventata ad di Dami ho adottato una leadership “umanocentrica”, orientata alla transizione ecologica e alla responsabilità sociale, all’inclusione e alla cooperazione. Come tantissime aziende ho intrapreso un percorso di sostenibilità ottenendo le certificazioni di qualità, ambiente, salute e sicurezza, innovazione, carbon footprint. E ho voluto a tutti i costi ottenere la PDR 125 sulla parità di genere. Siamo tra le prime cinque aziende nelle Marche».

Di cosa si tratta?

«Sono politiche per colmare il divario tra i due sessi, ancora molto lontani in termini di opportunità.

Più precisamente: parità salariali, possibilità di carriera e tutela del ruolo genitoriale, che colloca le donne ancora lontano dallo stesso trattamento rispetto ai loro colleghi uomini. Grazie alla certificazione, le organizzazioni possono fare qualcosa di concreto per colmare il gender gap nei luoghi di lavoro. Ci credo così tanto che aiuto le imprese a certificarsi, vado nelle scuole a parlare di imprenditoria femminile e della forza delle donne. Dobbiamo imporre dei cambiamenti culturali e nell’educazione per superare il gender gap che vede l’Italia nel 2023 al 79esimo posto su 146 Paesi».

Qual è il suo messaggio?

«Non siamo uguali da un punto di vista fisico e biologico, le differenze ci rendono unici, ma gli uomini e le donne devono avere gli stessi diritti. Dobbiamo rimettere al centro l’uomo e la sua dignità senza distinzione di genere».

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