Raisi, chi era il leader iraniano scomparso che protegge e arma Hezbollah

Ha autorizzato per la prima volta il lancio di 350 missili e droni direttamente su Israele senza appoggiarsi agli alleati nell’aerea

Il presidente iraniano Raisi, sotto, e a fianco i festeggiamenti a Teharan dopo l’attacco dei militanti di Hamas a Israele
di Sara Miglionico
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Lunedì 20 Maggio 2024, 00:36 - Ultimo aggiornamento: 21 Maggio, 09:07

Volto inflessibile della Rivoluzione iraniana della prima generazione, di Khomeini e dell’attuale Guida Suprema Khamenei, il presidente Ebrahim Raisi è stato eletto tre anni fa con il 62 per cento dei voti. A Khamenei lo lega la provenienza dalla stessa città natale, Ashhad, la profonda devozione e l’ortodossia ultra-conservatrice. Nei suoi vent’anni era già un magistrato, in un Paese che con la Rivoluzione era diventato una Teocrazia. E da allora ha scalato tutti i gradini della magistratura religiosa, diventando nel 1988 una sorta di Beria dell’Iran, il procuratore dal quale dipendeva la vita o la morte di migliaia di dissidenti politici che furono giustiziati senza pietà. E, per questo, Raisi è stato sanzionato dagli Stati Uniti. Eppure, la sua figura resta sempre un passo indietro a quella dei carismatici Ayatollah, quale non era, per quanto discendente di Maometto come segnala il suo inseparabile turbante nero. Le sue sorti sono state sempre legate a quelle di Khamenei, che oggi è una Guida azzoppata, vecchio, malato, e poco influente rispetto alla seconda generazione dei pasdaran. Raisi, il cui destino è sprofondato nelle nebbie di una zona impervia, è il presidente che in questi tre anni ha stretto ancora di più i legami con l’ala militare delle guardie rivoluzionarie, consolidando il cordone ombelicale fra Teheran e tutte le fazioni proxy, i militanti dei movimenti terroristici Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza, oltre agli Houthi che hanno scatenato la loro guerra di missili e droni sulle navi non russe e non cinesi che incrociano il Golfo.

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TRA PROTESTE E NUCLEARE

Ma Raisi è anche il presidente ultra-conservatore che si è trovato a fronteggiare le più vaste e testarde manifestazioni soprattutto di giovani e intellettuali nelle piazze e nelle strade, dopo la morte in carcere di Mahsa Amini, la 22enne curdo-iraniana colpevole di avere indossato male il velo.

Una rivolta che non ha portato a rovesciare il regime, non essendo riuscita a immedesimarsi in un leader, né a coinvolgere le categorie economiche che formano la base della società iraniana. Raisi era succeduto al pragmatico Rouhani, ineleggibile dopo due mandati e oggi defilato rispetto al potere dominante. Ma Raisi è stato anche il presidente che ha autorizzato per la prima volta la risposta a un’azione mirata israeliana con il lancio di 350 missili e droni direttamente su Israele, senza più appoggiarsi alle operazioni degli alleati nell’area. Ed è sempre Raisi che ha dato un impulso potente al programma nucleare che sta di nuovo pericolosamente sfiorando la soglia dell’impiego militare, dopo che nel 2018 il Trattato che lo regolamentava è stato stracciato da Trump. Proprio ieri mattina fonti iraniane avevano confermato l’avvio di un negoziato, per quanto indiretto, con gli Stati Uniti nel territorio neutrale dell’Oman, uno dei Paesi del Golfo, probabilmente per trovare un assetto e una via d’uscita alla guerra di Gaza, una soluzione alla crisi degli ostaggi, e un equilibrio possibile che scongiuri la degenerazione ed estensione del conflitto israelo-palestinese. In definitiva, prima del 7 ottobre l’Iran si era formalmente riconciliato pure con l’Arabia Saudita, ma in obbedienza alla convinzione che Israele non esista e, anzi, debba essere spazzato via come “regime sionista” dalle mappe mediorientali, la prospettiva di un accordo “di Abramo” tra i sauditi e Tel Aviv aveva resuscitato l’odio anti-ebraico e la volontà di mandare a monte l’intesa israelo-saudita considerata esiziale. Ancora non è chiaro quanto l’Iran sapesse del 7 ottobre che si preparava, anche se è assodato che abbia armato Hamas e fornito ai terroristi qualche supporto d’intelligence. Al tempo stesso, Raisi ha mostrato prudenza dopo le incursioni e gli attacchi mirati di Israele e degli stessi americani. Alzava la voce, ma non muoveva i missili balistici. Fino all’uccisione del capo dei pasdaran in Iraq (non a caso, visto che quella è oggi, o era, la base del suo potere). E ha deciso il contrattacco diretto.

 

“IL MACELLAIO DI TEHERAN”

Con lui, e se ne parla poco, c’è un’altra figura notevole, il ministro degli Esteri, Hossein Amirabdollahian, che per conto degli Ayatollah ha tenuto rapporti continui con i leader dei movimenti proxy, con Nasrallah anima degli Hezbollah libanesi. Raisi, vivo o morto, non riuscirà a scrollarsi di dosso il soprannome che gli fu dato nell’88, “macellaio di Teheran”, retaggio del suo momento forse di maggior potere prima di diventare presidente, quando divenne il braccio esecutivo della repressione khomeinista. Un alto dignitario, non un leader. Anche la sua morte o sopravvivenza sono avvolte, come la sua vita, nel grigiore delle nebbie.

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