Sopravvissuti e parenti dei giovani uccisi e torturati il 7 ottobre dai miliziani di Hamas al Rave nel deserto fanno causa ai servizi segreti e all'esercito di Israele per non avere avvertito della minaccia che incombeva. Sono in 42, ma potrebbero diventare molti di più. Quel giorno furono 360 le vittime alla festa, più i feriti e gli ostaggi liberati che hanno sofferto le pene dell'inferno a Gaza. La richiesta di risarcimento è di 55 milioni di dollari. «Bastava una telefonata per evitare il massacro, c'è stata negligenza e omissione», attaccano gli avvocati. E ancora: era necessario fare evacuare l'area, «visti gli allarmi ricevuti la notte tra 6 e 7 ottobre». La richiesta di autorizzazione, necessaria per occupare un'area ad appena 5 chilometri dal confine con la Striscia, risaliva a tre mesi prima. Alti ufficiali della Divisione Gaza dell'esercito avevano espresso preoccupazione per un festival a ridosso del confine, ma «l'evento fu autorizzato». Il 7 ottobre ragazze e ragazzi furono visti correre pieni di speranza verso gli uomini in mimetica, scambiandoli per i soldati israeliani arrivati a metterli in salvo. E invece erano i terroristi delle unità speciali di Hamas, piombati da terra coi motocicli, dal cielo coi deltaplani. La Brigata Nord della Divisione Gaza, stando a un'inchiesta di "Haaretz", si era assunta la responsabilità della sicurezza, il comandante sapeva del Rave, ma sul terreno le truppe non furono informate. Quella notte, le sentinelle al confine videro movimenti strani, e avvertirono i loro capi. Venerdì, verso la mezzanotte, e poi di nuovo alle 3 di notte, si tennero consultazioni frenetiche anche alla presenza del capo dello Shin Bet, la sicurezza interna, Ronen Bar. Stando sempre a "Haaretz", pure il capo di stato maggiore dell'esercito, Herzl Halevi, e il colonnello Haim Cohem, comandante della Brigata Nord, furono svegliati nel pieno della notte. Fu addirittura mandata una squadra dell'unità operativa Team Tequila a Nahal Oz, un paio di squadre di incursori della Brigata Golani vennero allertate. Ma poi non successe nulla, falso allarme si disse. Nessuno si fece venire lo scrupolo di chiamare i responsabili del Rave. E alle 7 del mattino, quando dal parcheggio del Kibbutz Reim, dove si teneva la festa, arrivò la prima concitata telefonata di aiuto, la risposta fu che l'esercito non era in grado di soccorrerli, che si arrangiassero. Otto ore di mattanza, prima di vedere i militari israeliani. Ora, i sopravvissuti sostengono che le loro vite «sono cambiate per sempre dal 7 ottobre». I servizi psichiatrici in Israele sono al collasso, anche per le conseguenze del massacro.