Sette anni di vacche grasse. E ora sette anni di vacche magre. Tanti quanto durerà il piano di rientro dei conti pubblici che nei prossimi mesi l’Italia dovrà presentare agli altri partner europei.
E farselo approvare non sarà come partecipare al ballo delle debuttanti. Diciamolo, forse non siamo pronti. Tecnicamente sì, i cassetti del ministero del Tesoro sono pieni di misure in grado di mettere ordine nei conti dello Stato. È mentalmente che non riusciamo ad elaborare questo cambio di paradigma. Soprattutto è il discorso pubblico, quello della politica e dei partiti, che fatica a prenderne atto, se la correzione di un solo decimale di punto del deficit ha fatto vacillare la maggioranza. Veniamo, si diceva, da anni di vacche grasse. Un’epoca iniziata ben prima della pandemia, già con il governo guidato da Matteo Renzi e il bonus da 80 euro finanziato facendo deficit. Proseguita con il primo governo Conte e la scena dei ministri grillini a festeggiare sul balcone di Palazzo Chigi la fine della povertà grazie al Reddito di cittadinanza pagato, ancora una volta, facendo correre il deficit. Così come il pensionamento a 62 anni con Quota 100. Altro indebitamento. Fin qui reso possibile dalle maglie un po’ più larghe della Commissione europea dopo gli anni dell’austerity.
Poi è arrivata la pandemia con la sacrosanta necessità di salvare le persone e l’economia del Paese. Con le regole europee congelate, solo nel 2020, sono stati fatti oltre 100 miliardi di nuovo deficit, usati non solo per l’emergenza sanitaria ma anche per creare misure come il Superbonus, lo sconto sulla spesa (ricordate il cashback accreditato dallo Stato direttamente in banca?), comprare banchi a rotelle e finanziare l’acquisto di monopattini. Poi la crisi energetica ha costretto lo Stato ad intervenire a sostegno dei cittadini con i contributi per le bollette e la benzina. Ma è stata anche l’occasione per alleggerire le tasse e aumentare gli stipendi tagliando i contributi. Sempre a deficit.
Adesso che il conto arriva, e si preannuncia salato, vale forse la pena chiedersi cosa resterà al Paese delle centinaia di miliardi spesi in questi anni.
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