Toti apre alle dimissioni, Crosetto: «Con questa logica si arrestano anche le toghe»

L’avvocato: «Valuterà». Oggi l’interrogatorio di garanzia. Opposizioni in trincea. Conte: “Una follia che il governatore resti al suo posto”

Toti apre alle dimissioni, Crosetto: «Con questa logica si arrestano anche le toghe»
di Francesco Bechis e Claudia Guasco
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Giovedì 9 Maggio 2024, 22:52 - Ultimo aggiornamento: 10 Maggio, 10:54

Un futuro politico in bilico. Giovanni Toti ora non esclude il passo indietro. «Il mio assistito sta valutando», fa sapere il legale Stefano Savi alla vigilia dell’interrogatorio di garanzia, oggi, in cui il presidente della Liguria finito agli arresti per corruzione ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere. Intanto il centrodestra si divide. Fra chi prevede che il governatore non potrà restare in sella per più di un paio di settimane, un mese al massimo, soprattutto in Fratelli d’Italia, e chi invece prende apertamente le sue difese.

L’AFFONDO

È tarda sera quando Guido Crosetto decide di entrare a gamba tesa sulle inchieste che hanno terremotato la politica ligure e scosso quella nazionale. «Con la logica usata per Toti (a cui non viene contestato alcun vantaggio personale e privato) si possono arrestare la quasi totalità dei sindaci, dei presidenti di Regione, dei dirigenti pubblici», scrive su X il ministro della Difesa di FdI - Suppongo potrebbero anche arrestare la maggior parte dei magistrati.

La carcerazione preventiva non nasce come strumento di intimidazione o per aumentare l'audience di un'inchiesta. Nasce per impedire la reiterazione di reati gravi, la fuga o l'inquinamento delle prove. Non è questo il caso, tanto più che sono passati 5 mesi dalla richiesta di misure cautelari alla loro esecuzione».

Parole durissime che rievocano lo spettro di uno scontro aperto con la magistratura, mentre il Guardasigilli è atteso oggi al congresso dell’Associazione nazionale magistrati a Palermo alla presenza di Sergio Mattarella, sullo sfondo le tensioni sulla riforma della separazione delle carriere. Ed è sempre Crosetto a parlare di un tempismo sospetto dell’azione giudiziaria: «A trenta giorni dalle elezioni qualche dubbio viene». Poi ancora, alludendo al sospetto di una “spallata” di una parte della magistratura al governo già adombrato in autunno : «Lo avevo predetto con largo anticipo».

Una posizione che però trova pochi riscontri nella linea tenuta finora dal partito della premier Giorgia Meloni. Che studia le carte e sa bene, come in FdI ammettono a microfoni spenti, che Toti non potrà restare ancora a lungo in carica, se gli arresti non saranno revocati. Un mese: è l’ultimatum sussurrato dal partito leader del centrodestra, deciso a non trascinare fino al giorno delle elezioni europee uno scandalo che può causare un grave danno di immagine alla maggioranza.

Ed è una convinzione che riaffiora qua e là, nelle dichiarazioni degli alleati. Come l’azzurro Giorgio Mulè: «Se un presidente di Regione è agli arresti domiciliari è abbastanza difficile che possa continuare ad amministrare la Regione». Cauto Lucio Malan, capogruppo al Senato di FdI: «Noi rispettiamo il lavoro della magistratura che per adesso ha preso delle misure cautelari». Mentre le opposizioni chiedono a gran voce le dimissioni di Toti, dal leader dei Cinque Stelle Giuseppe Conte, «è una follia che rimanga lì», allo stesso Carlo Calenda, leader di Azione, che ne fa una questione di «responsabilità politica».

LA DIFESA

Intanto la difesa di Toti si prepara all’interrogatorio. Il silenzio del governatore, spiega l’avvocato Savi, è una decisione imposta dal gran numero di atti da ponderare, non dalla volontà di sottrarsi al confronto con i magistrati. «Tutti i denari in entrata e in uscita sono tracciabili, ma ancora non è il momento di parlare con il giudice perché la mole di carte da leggere è molto elevata». La scelta di avvalersi della facoltà di non rispondere, spiega il legale, «sembra conseguente e logica nella misura in cui abbiamo un fascicolo enorme da approfondire e che abbiamo nelle nostre mani solo da mercoledì. Prima di prendere decisioni o dare spiegazioni dobbiamo capire su che cosa, dove e come fornire le spiegazioni».

Ma su un punto Savi ha già una certezza: «La tracciabilità dei denari sia in entrata che in uscita è totale. In entrata sono gli stessi atti che ce lo dicono, non è stato contestato nulla in relazione a fatti che non siano assolutamente rientranti nelle normative di legge che prevedono che tutto avvenga nella maniera più trasparente possibile. E così è stato». Inoltre «abbiamo anche la possibilità di dimostrare» che i fondi «sono stati tutti spesi per necessità di tipo politico connesse all’attività del presidente e delle persone che lavoravano con lui e che avevano connessioni politiche. Non c’è stata alcuna anomalia nella spesa, né a titolo personale né a nessun altro titolo».

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