Ariston, l'esproprio di Putin. Il Gruppo marchigiano: «Sorpresi dalla Russia, non sapevamo nulla»

Aristo, l'esproprio di Putin. Il Gruppo marchigiano: «Sorpresi dalla Russia, non sapevamo nulla»
di Maria Cristina Benedetti
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Domenica 28 Aprile 2024, 03:40 - Ultimo aggiornamento: 16:22

ANCONA Le sterzate economiche in tempo di guerra imboccano la strada obbligata della diplomazia. Ariston Group, leader del comfort termico hi-tech e sostenibile, quotata in Borsa e presieduta da Paolo Merloni, attende quasi 24 ore prima di affidarsi a una nota ufficiale, per reagire all’esproprio firmato da Vladimir Putin. Il leader del Cremlino nazionalizza lo stabilimento russo della multinazionale fabrianese di Vsevoložsk, vicino a San Pietroburgo, e i suoi uffici commerciali: li trasferisce per decreto, e temporaneamente, sotto l’ombrello di Gazprom, controllata dal governo russo. Non lascia tempo al tempo il ministro degli Esteri, Antonio Tajani: parla con i vertici dell’azienda e convoca, per domani, l’ambasciatore di Mosca in Italia, Alexey Paramonov. Si affida alla velocità dei social e al proclama: «Siamo al fianco delle imprese, pronti a tutelarle tutti i mercati internazionali».

I rapporti

Lapidarie.

Le dichiarazioni, compresse in una pagina, scritte e riscritte dall’ufficio legale del Gruppo vogliono trasmettere l’amarezza dello spaesamento: «Ariston, che opera industrialmente nella Federazione da quasi vent’anni, con rapporti molto corretti con le istituzioni locali, non è stata preventivamente informata del decreto ed è estremamente sorpresa da questa iniziativa». Segue il contrattacco: «In attesa di spiegazioni sul provvedimento, ne stiamo valutando le implicazioni, anche dal punto di vista della governance e della gestione». Un passaggio, neppure troppo subliminale, vorrebbe far intendere che tra le ipotesi non è esclusa quella di abbandonare completamente quella attività. La voce del territorio, delle Marche, soprattutto di Fabriano, si alza in segno di solidarietà con Francesco Casoli che, con le sue cappe aspiranti, nella nazione più grande del mondo ha una piccola filiale commerciale: «È un brutto segnale a livello di relazioni internazionali, ritengo tuttavia che sia poco significativo sul fronte economico». I numeri sostengono la sua convinzione: il fatturato del corollario russo di Ariston pesa per appena il 3% su quello globale del Gruppo, quasi 100 milioni di euro su oltre 3 miliardi. Ed è su quello strappo, tutto dal retrogusto politico, che s’inserisce Tajani: «Il governo - tuona - chiede chiarimenti sulla vicenda di quella nazionalizzazione». Il ministro s’interfaccia con Bruxelles, in raccordo con la Germania che condivide la stessa sorte: anche le filiali russe di Bosch sono state trasferite, in gestione temporanea, al gruppo Gazprom. Il piano d’ azione prevede tre mosse. La prima: la Farnesina convoca l’ambasciatore. La seconda: il contatto con il ministero degli Esteri tedesco. La terza: far intervenire la Ue che ha più forza contrattuale, tanto più che l’offensiva di Putin potrebbe essere una reazione al fatto che la Commissione europea ha messo a punto uno stratagemma per impiegare le rendite dei fondi finanziari russi congelati per sostenere l’Ucraina, militarmente ed economicamente. Sulla vicenda interviene il Servizio di Azione esterna dell’Unione - istituito per rendere più coerente ed efficace la sua politica estera - accusando Mosca di «disprezzare il diritto e le regole internazionali».

La storia

Un legame, quello spezzato dalla scelta del presidente del Cremlino, che viene da lontano. Il primo investimento russo del brand storico dell’industria italiana risale al 1995. La storia continua. Il 2005 è stato l’anno dell’inaugurazione dello stabilimento di Vsevolozhsk, a 20 chilometri da San Pietroburgo, dove Ariston Group produce decine di migliaia di scaldacqua all’anno destinati al mercato interno. Sono prodotti avanzati ad alta efficienza, ed è un centro di eccellenza per il loro sviluppo. I numeri danno forma e sostanza a un sito da 64mila metri quadrati, di cui 30mila coperti, con 200 dipendenti tra diretti e indiretti, più altri 100 che sono la linfa della rete commerciale. Due anni fa, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Paolo Merloni aveva annunciato, insieme allo stop alle attività della commerciale a Kiev, «la riduzione, in quantità ed estensione, delle operazioni della controllata russa». Una decisione che non ha avuto alcun impatto negativo sull’operatività dello stabilimento, dove erano stati sospesi tutti gli investimenti, a eccezione di quelli legati alla sicurezza sul lavoro. La scelta non ha impedito, nel 2023, di generare circa 100 milioni di fatturato. La tesi di Casoli si rafforza: «È un brutto segnale a livello di relazioni internazionali, poco significativo sul fronte economico».

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