L’ultima scena della Coppa Italia, l’altra sera all’Olimpico, è durata 7 minuti: quelli del recupero. Mica li hanno giocati i ventidue in campo, juventini o atalantini che fossero (più uno: l’arbitro), né la folla di giocatori, staff e arbitri che stanno (stanno?) nella zona designata e disegnata. Li ha giocati, impedendo così la disputa calcistica, Massimiliano Allegri, l’“Acciuga” livornese, il tecnico che sa di calcio e di cavalli.
Gli inglesi dicono “to play”, che vuol dire recitare o giocare, dipende dall’uso.
Di certo mai sapremo quale delle due fu l’intenzione del Signor Max: se quella di portare a casa la quinta sua Coppa, nel “bisognava far casino” che ha ammesso poi, oppure semplicemente di lasciar esplodere il tappo (non era champagne) che aveva compresso in tutti questi mesi il suo sentire, quell’hashtag sempre di tendenza che era “Allegri out” e le critiche, fondate o meno, a mezzo stampa o per odio social, che lo hanno accompagnato in questa stagione.
Quale delle due fosse la ragione fondante di quel togliersi la giacca e la cravatta e sbottonarsi la camicia come fosse un concorrente di “Ballando con le stelle”, e chiamare il designatore arbitrale (chiamare?), scacciare i dirigenti freschi di Juve, attendere al varco dell'androne qualche giornalista poco gradito, certamente sta il fatto che per un professionista del suo valore e del suo stipendio è per qualcuno comprensibile nella motivazione ma per tutti assolutamente ingiustificabile nel comportamento, a parte la baggianata dello stile Juve.
Ah, la serenità di Ancelotti! La signorilità di Ranieri! Poi ci fu anche la corsa di Mazzone (“la mamma e Roma non si toccano” egli disse), ci furono le manette di Mourinho.
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