Una scommessa con una posta in palio enorme: il destino lavorativo di centinaia di migliaia di persone. Inizieremo a scoprire chi la vincerà - gli ottimisti o i pessimisti - da aprile 2021, quando non ci sarà più l’ombrello dello stop ai licenziamenti. Sarà un’ecatombe con i direttori del personale pronti ad aprire i cancelli e a far partire le lettere d’addio per crisi aziendale? Oppure inizierà a intravedersi la ripresa e gran parte di quelle lettere resteranno chiuse nei cassetti prima di diventare carta straccia? La risposta è una: dipenderà dal maledetto Covid, dall’efficacia e diffusione del vaccino, dallo scongiurare di terze o quarte ondate e relativi lockdown per arginare altre maree di vittime.
L’ILLUSIONE
Basta volgere lo sguardo indietro di pochi mesi, per capire quanto il tutto sia strettamente collegato. Da giugno fino a inizio settembre, quando il virus ci aveva illuso di aver innestato la retromarcia, alcuni settori avevano ripreso a muoversi e l’effetto sull’occupazione già si notava. I dati Istat sono illuminanti. A luglio, dopo quattro mesi di calo, l’occupazione fa segnare +0,4% rispetto a giugno, in numero assoluto significa 85 mila unità, tra l’altro quasi tutte donne con assunzioni a tempo indeterminato. Ad agosto si replica: occupazione ancora +0,4%, pari a 83 mila unità, questa volta soprattutto maschi under 35 (50 mila, pari a +1% rispetto a luglio). A settembre il dato è ancora positivo ma già in frenata: gli occupati aumentano solo di 6 mila unità. Intanto la famigerata seconda ondata del virus, da tutti prevista ma non sufficientemente contrastata con azioni preventive da parte del governo e delle istituzioni locali, inizia a sommergere reparti ospedalieri e interi settori economici costretti a lavorare a scartamento ridotto. L’effetto sull’occupazione è immediato: nonostante sia in vigore il divieto di licenziare, ottobre si chiude con 13.000 posti di lavoro in meno rispetto al mese precedente (-0,1%). Il saldo tra ottobre e febbraio è salatissimo: mancano all’appello quasi 420 mila occupati. La seconda ondata ovviamente ha peggiorato il quadro. E gli ultimi dati Istat indicano un calo nei 12 mesi di 600.000 posti.
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MAI TANTA CIG
Finora a livello sociale l’impatto è stato mitigato con un massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali: da inizio emergenza Covid e fino a metà novembre, la cassa integrazione ha coperto oltre 6,6 milioni di lavoratori, per 3,4 miliardi di ore e 24,8 milioni di indennità totali erogate. «Numeri senza precedenti» commenta il rapporto della Fondazione Di Vittorio su “Il mercato del lavoro in Italia alla prova della pandemia”, che ricorda come nel 2009 - anno di inizio dell’altra grande crisi economica - sono state erogate complessivamente 916 milioni di ore di cig.
IL SOFTWARE DEL MISSISSIPI
La pandemia ha accelerato la digitalizzazione. E questo porterà ad un destino diverso dei lavoratori anche all’interno della stessa azienda. Chi ha competenze digitali si salverà, gli altri - ovvero la stragrande maggioranza dei lavoratori - resteranno in bilico. E allora saranno dolori. Purtroppo difficilmente si potrà contare sull’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive che i Cinquestelle hanno voluto affidare al professore del Massachusets Mimmo Parisi: stando ai risultati fallimentari ottenuti con i navigator per i beneficiari del reddito di cittadinanza, l’Anpal sembra totalmente impreparata a gestire un flusso massiccio di ricollocamenti. Il famoso «software del Mississippi» che doveva risolvere tutti i problemi incrociando domanda e offerta di lavoro è ancora «in fase di elaborazione e di attuazione» ha ammesso la titolare del ministero del Lavoro, la pentastellata Nunzia Catalfo. I tecnici del suo ministero e quelli dell’Economia stanno pensando di allargare la platea del contratto di espansione che di fatto consente un anticipo di cinque anni della pensione: in questo primo anno di sperimentazione lo potevano utilizzare solo le grandi aziende con oltre mille dipendenti, per il 2021 è già stata abbassata la soglia a 500 dipendenti, si sta studiando di scendere ancora a 250. Così si passerebbe da una potenziale platea di 917 aziende a circa duemila. Non brilla l’azione del ministero dello Sviluppo, anch’esso in mano a un ministro di fede Cinquestelle, Stefano Patuanelli: i tavoli di crisi aziendale chiusi, finora, sono solo quelli con le multinazionali che non ne hanno voluto sapere di fare marcia indietro sulle decisioni di disimpegno. Uno per tutti: la chiusura il 31 ottobre - dopo oltre un anno di trattativa al Mise - dello stabilimento Whirlpool di Napoli con 450 lavoratori a casa.